Ha davvero del vergognoso la nuova trasmissione che la Rai sta producendo sulla tasca dei contribuenti che pagano il canone televisivo. Parliamo di “The Mission”, il nuovo reality che sarà girato con alcuni VIP nei campi profughi nel Sud Sudan, nella Repubblica Democratica del Congo e in Mali. La notizia ha fatto scattare subito le proteste delle ONG, visto che parliamo di luoghi spesso dimenticati da Dio, dove miseria e dolore regnano perenni e dove i riflettori mediatici si accendono molto di rado per raccontare le tragedie umane che li popolano. Avremmo potuto accettare di tutto da Mamma Rai, anzi dopo l’annullamento di Miss Italia abbiamo perfino creduto che la nostra televisione sarebbe tornata a veicolare almeno un pizzico di cultura in più, quella con la C maiuscola. Invece, ahimè, ci siamo illusi. Ci chiediamo ora, perplessi e increduli, cosa c’entrino Al Bano, Emanuele Filiberto, Paola Barale, Michele Cucuzza e Barbara De Rossi con queste tragedie? Probabilmente questi VIP hanno finito il loro tempo e adesso hanno bisogno di rispolverare la loro immagine caduta nell’oblio? Insomma se perfino questi drammi devono diventare un prodotto televisivo significa che abbiamo perso il lume della ragione. Fortuna ha voluto che l’operazione, visto le proteste che ha innescato, si stia rivelando per quello che è, ovvero un’operazione commerciale aberrante. Se n’è accorto perfino Andrea Casale, un ragazzo di Parma di appena 25 anni, uno studente di Farmacia che ha lanciato subito una petizione on line per fermare quello che lui definisce: “uno spettacolo grottesco e umiliante il vedere raccontata la sofferenza umana dei rifugiati da personaggi estremamente discutibili e che probabilmente mai l’avrebbero fatto se non avessero visto un’immediata convenienza in termini di immagine e commerciale”. Ma in che mondo viviamo? Personaggi che arrivano con telecamere al seguito, che fanno giochi, magari lavano un bambino, portano della farina, fanno spettacolo poi vanno via e dicono “ritorneremo e vi aiuteremo” … questo vuol dire solo e soltanto sfruttamento della sofferenza che dovrebbe essere punito come reato morale, se non penale. Il Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati ricorda che “(…)ci sono tante organizzazioni che da anni lavorano in silenzio per aiutare chi fugge da persecuzioni, da guerre e dalla fame e lo fanno sapendo quanto sia importante il basso profilo, il rapporto da costruire quotidianamente tra chi ha bisogno e chi può aiutare. Non per la durata di un reality ma per i successivi mesi, per il futuro”. Se la Rai avesse voluto raccontare il lavoro di tante ONG nei territori di guerra, all’interno dei campi e nei progetti lo avrebbe potuto fare in tanti modi, se la Rai avesse voluto raccontare perché molte persone fuggono dal proprio paese per la ricerca di un futuro migliore, lo avrebbe potuto fare. Purtroppo si è spesso dedicata, anche nelle ultime emergenze, a far vedere gli sbarchi e poco più, ad amplificare le polemiche di italiani contro i migranti, di poveri contro disperati. Il pericolo di strumentalizzazione è dietro l’angolo. Il rischio di un utilizzo inappropriato di immagini, storie e pezzi di vita di persone in condizione di estrema vulnerabilità, è davvero elevato e si chiede quale possa essere il prezzo da pagare per i rifugiati coinvolti. Ritengo, infatti, che lo sfruttamento della sofferenza sia contrario ai principi di etica dell’informazione e, ancor di più, non sia in linea con la missione del servizio pubblico radiotelevisivo.
Tonino D.
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