Rispondendo ad un desiderio che avevo espresso in passato, don Gi mi ha appuntato la sua omelia della Veglia di Pasqua che ci ha visto protagonisti la notte scorsa.
Certo, leggere non è ascoltare ma serve a ricordare i momenti comuni della nostra Assemblea e a tenerne traccia nel nostro cuore.
Maria Grazia
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Carissimi, la liturgia di questa notte ci fa rivivere le tappe della storia della nostra salvezza.
Anzitutto la notte della liberazione dall’Egitto, notte di terrore e di angoscia. Il racconto si apre con le parole del Signore a Mosè:”Perché gridi verso di me? Ordina agli israeliti di riprendere il cammino”. Essi hanno alle spalle l’esercito egiziano, e davanti a loro il mare … Notte di terrore in cui però gli israeliti sperimenteranno la salvezza, la presenza di Dio come nube luminosa per loro e tenebrosa per i nemici.
La notte di Abramo: quei 3 giorni in cui ha camminato con la morte nel cuore verso il monte Moria dove deve sacrificare il figlio. Il suo unico figlio che ama. Notte anch’essa però illuminata da un presagio della Risurrezione; come altrimenti Abramo potrebbe dire ai servi, arrivato il terzo giorno ai piedi del monte: “Fermatevi qui con l’asino; io e il ragazzo andremo fin lassù, ci prostreremo, e poi ritorneremo da voi”?
E realmente Isacco, il figlio obbediente, tornerà vivo dal monte.
Ecco, tutte le pagine della Scrittura sono una figura, trovano il loro pieno significato, solo alla luce della Risurrezione di Cristo, per questo il cero pasquale è posto accanto all’ambone, perché siamo chiamati a rileggere le Scritture alla luce della Pasqua.
Anzi, non solo le pagine della Scrittura, ma anche le pagine della nostra vita, soprattutto quella più indecifrabile, la morte, trovano senso solo alla luce della Risurrezione, come ci ricorda magnificamente il Concilio Vaticano II: “In realtà solamente nel mistero del Verbo Incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo … riceve luce quell’enigma del dolore e della morte, che al di fuori del suo Vangelo ci opprime” (G.S.22).
Le esperienze di salvezza, reali ma parziali, che hanno vissuto Zef e Perpetua, il passaggio dell’Adriatico alla ricerca di una terra dove il suo handicap (come sapete Zef è sordo-muto)
non fosse un macigno così pesante da impedirgli una vita pienamente umana, il passaggio del mare dalla Libia a Lampedusa per non diventare schiava, per fuggire la morte, per poter professare liberamente la propria fede cristiana, trovano oggi nella Pasqua e nel Battesimo che la attualizza in loro, il loro pieno significato.
Vorrei concludere ripetendo quella parola che quel giovane seduto sulla destra del sepolcro ormai vuoto, vestito di una veste bianca, rivolge alle donne e in questa notte anche a noi: “Non abbiate paura!”. E’ la paura che ci rende tristi e cattivi; ma a partire dalla Risurrezione di Cristo, non c’è più motivo di avere paura.
Pensavo oggi allo slancio di solidarietà suscitato da questo terremoto. A quante persone hanno aperto le loro case ai terremotati; persino Berlusconi ha detto che aprirà una sua casa; a tutti coloro che si sono mobilitati perché quanti sono stati colpiti dal terremoto possano tornare a vivere. Per un attimo abbiamo dimenticato la paura. Se non avessimo paura, apriremmo le nostre case anche a tanti bambini in istituto, senza una famiglia adeguata, comprenderemmo che anche questi fratelli che approdano alle nostre coste spesso sono dei terremotati, sfuggiti a tante tragedie.
Il segno della Risurrezione è il venir meno della paura … Ricordate le parole piene di franchezza di Pietro e Giovanni davanti alle minacce del Sinedrio. Ricordate le parole di Gesù: “Non temete quelli che uccidono il corpo, temete piuttosto di non amare”.
Chiediamo al Signore che la luce di questa notte sciolga le nostre paure, ci renda capace di scegliere non a partire dalla paura ma dalla Risurrezione e dall’amore: “Non abbiate paura! Voi cercate Gesù nazareno, il crocifisso. E’ risorto, non è qui”.
don Gianni De Robertis
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