Ero pronta a farvi salpare alla scoperta di un nuovo libro di viaggio ma il momento di preghiera straordinario voluto da papa Francesco ieri pomeriggio per questo tempo di pandemia mi ha dirottata su altre acque. Ho molti amici e conoscenti sparsi per il mondo che stanno vivendo l’angoscia di un’epidemia che sembra inarrestabile, molti dei quali credenti (e praticanti, anche di altre confessioni) ed altri non credenti. Eppure ieri è come se il mondo si fosse fermato ancora di più, si fosse voluto prendere un’ora di pausa dagli aggiornamenti, dalla corsa all’ultima statistica, dalle fake news, per mettersi semplicemente in ascolto di un uomo vestito di bianco in una piazza San Pietro scura, bagnata dalla pioggia, completamente vuota ma riempita da lontano. Non a caso è stato scelto il brano del vangelo di Marco in cui durante una tempesta i discepoli, preoccupati, svegliano il maestro per chiedergli di intervenire e vengono da lui rimproverati perché hanno avuto troppa paura e troppa poca fede. E il papa per cinque volte, ad introdurre cinque passaggi della sua omelia, ripete le parole «Perché avete paura? Non avete ancora fede?». Come per i discepoli anche noi “ci siamo trovati impauriti e smarriti” da quando “fitte tenebre si sono addensate sulle nostre piazze, strade e città” e forse per la prima volta dopo molto tempo “ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo […] chiamati a remare insieme” contro “una tempesta inaspettata e furiosa” e ad invocare una salvezza più ampia. Sì, perché, smascherati nella nostra vulnerabilità e nelle vacue sicurezze (apparenza, eterna giovinezza, avidità, affermazione sociale) di cui abbiamo riempito le nostre agende e su cui abbiamo costruito la nostra daily routine, ci siamo scoperti soli, malati in un mondo sofferente e non più invincibili ed onnipotenti, ma soprattutto incapaci di riempire di senso questo “silenzio assordante” e questo “vuoto desolante, che paralizza ogni cosa al suo passaggio” e dunque bisognosi di essere salvati. Dunque l’invito di papa Francesco, che ha sostato in preghiera dinanzi all’icona bizantina della Madonna “salvezza del popolo romano” (invocata dagli abitanti per proteggerli dai drammi che hanno segnato la storia della città eterna) e del crocifisso di San Marcello al corso (lo stesso sopravvissuto ad un incendio che nel 1519 distrusse completamente la chiesa e che nel 1522 venne portato in processione per sedici giorni per le vie di Roma verso la basilica di San Pietro per scongiurare l’epidemia della peste, lo stesso che viene definito ancora, timone e speranza!), è quello di “reimpostare la rotta della vita” per “scegliere cosa conta e cosa passa” e per riscattare e valorizzare quegli esempi di persone “che non compaiono nei titoli dei giornali e delle riviste né nelle grandi passerelle dell’ultimo show ma, senza dubbio, stanno scrivendo oggi gli avvenimenti decisivi della nostra storia: medici, infermiere e infermieri, addetti dei supermercati, addetti alle pulizie, badanti, trasportatori, forze dell’ordine, volontari, sacerdoti, religiose e tanti ma tanti altri che hanno compreso che nessuno si salva da solo. […] Quanta gente esercita ogni giorno pazienza e infonde speranza, avendo cura di non seminare panico ma corresponsabilità. Quanti padri, madri, nonni e nonne, insegnanti mostrano ai nostri bambini, con gesti piccoli e quotidiani, come affrontare e attraversare una crisi riadattando abitudini, alzando gli sguardi e stimolando la preghiera. Quante persone pregano, offrono e intercedono per il bene di tutti. La preghiera e il servizio silenzioso: sono le nostre armi vincenti”. Questo tempo ci insegna che “non siamo autosufficienti, da soli; da soli affondiamo” e “ci interpella e, in mezzo alla nostra tempesta, ci invita a risvegliare e attivare la solidarietà e la speranza capaci di dare solidità, sostegno e significato a queste ore in cui tutto sembra naufragare”. “Volgere al bene tutto quello che ci capita” significa “trovare il coraggio di abbracciare tutte le contrarietà del tempo presente, abbandonando per un momento il nostro affanno di onnipotenza e di possesso per dare spazio alla creatività” ovvero “trovare il coraggio di aprire spazi dove tutti possano sentirsi chiamati e permettere nuove forme di ospitalità, di fraternità, e di solidarietà”, “per abbracciare la speranza […] che libera dalla paura”. “In mezzo all’isolamento nel quale stiamo patendo la mancanza degli affetti e degli incontri, sperimentando la mancanza di tante cose, ascoltiamo ancora una volta l’annuncio che ci salva”; sta a noi concorrere alla nostra salvezza, a quella della collettività in cui siamo inscritti e di cui siamo responsabili.
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