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San Marcello

A 13 anni si suicida e lascia un lettera al padre camorrista: "Non volevo diventare come te"

Aggiornamento: 21 giu 2020

NB: la notizia risale all’aprile del 2009 ed è stata riportata poiché notata (incredibilmente) tra i link collaterali di Google News. Non chiedetemi come sia possibile una cosa del genere e perdonatemi se non mi sono accorto subito del non trascurabile dettaglio. Il caso, o per chi crede “la provvidenza”, ha comunque voluto che il sottoscritto “inciampasse” in questa triste storia e la raccontasse convinto che fosse capitata solo ieri. In fondo, comunque, ritengo che sia doveroso ricordare il gesto estremo di “Antonio” (il nome è di fantasia) un numero infinito di volte. Il suo gesto risale a 3 anni fa ma ci fa riflettere su un tema che è, purtroppo, attuale da quando esiste l’Italia Unita.

Quasi sempre i bambini nati in certi posti del mondo sono costretti a crescere molto prima del previsto (e del giusto). Capita che prima ancora di essere “in età da motorino” abbiano negli occhi e nel cuore il dolore ed il senso di sconforto degli adulti. Antonio di anni ne aveva tredici ed abitava a Villaricca (Napoli). Nel 2005, suo fratello maggiore (all’epoca appena 14enne), era stato prima massacrato di botte da un branco di dieci ragazzi e poi freddato con un colpo di pistola alla nuca. Il suo crimine? Aveva tentato, senza nemmeno riuscirci, di rapinare il motorino ad un ragazzo di Mugnano.

Da quel momento Antonio non è stato più in grado di riprendersi e, nella lettera che i carabinieri hanno trovato nella sua cameretta, era chiaro il forte rancore che il ragazzino provava nei confronti del padre, accusato dagli investigatori di essere intimamente legato ad un noto clan camorristico. Il 13enne probabilmente imputava a quel genitore la precocità delinquenziale del fratello e la tragedia della sua morte. Un animo evidentemente troppo sensibile per poter tollerare l’ipotesi di diventare, un giorno, come il papà camorrista; o di dover sopportare altre perdite per colpa della criminalità organizzata.

Antonio si è ucciso impiccandosi, approfittando dell’assenza dei propri genitori (e dello Stato). A soli 13 anni non è stato in grado di vedere intorno e davanti a sè una speranza, un motivo per continuare a vivere e per costruirsi un destino diverso da quello del fratello e del padre. Della sua storia all’epoca si parlo relativamente poco e per Antonio, nemmeno occorre precisarlo, non ci furono funerali di Stato o ipocriti minuti di silenzio negli stadi…infondo era solo un ragazzino sfortunato dell’interland napoletano ed ha “scelto” di togliersi la vita. Non è una vittima ed il suo gesto merita solo qualche attimo di sgomento; poi un silenzio che durerà molto più di 60 secondi. Eppure questo bimbo è in molti sensi un eroe della dignità: ha combattuto da solo e a suo modo contro un nemico per lui invincibile. La sola idea di essere sconfitto dalla camorra l’ha indotto ad un gesto estremo ed al contempo potente ed inarrestabile…bisognerebbe raccontare la sua storia nelle scuole e lanciare ai bimbi un messaggio paradossale: devono ricordarsi per sempre il suo esempio senza però mai seguirlo fino in fondo. L’esempio di un piccolo uomo indifeso e dal cuore troppo grande per poter contenere prospettive di vita così asfittiche. L’esempio di un piccolo, grande uomo che per rinnegare la camorra ha rinnegato prima suo padre e poi la sua stessa vita.

di Germano Milite da you-ng.it

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