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San Marcello

“all’Alba” del giorno nuovo


Donna adultera

Che Dio abbia tra le sue caratteristiche questa, quella di fare cose nuove, è proprio una buona notizia: “ecco” – è scritto nel rotolo di Isaia – “faccio una cosa nuova”.

E che questa, di far cose nuove, sia una qualità che splenderà anche nei nuovi cieli e nella terra nuova, è ancor più buona notizia. Al penultimo capitolo del libro dell’Apocalisse, laddove è sognata la città del futuro, a colui che siede sul trono, a Dio, sono attribuite queste parole che durano all’infinito: “Ecco io faccio nuove tutte le cose”.

E’ bello anche ascoltare, come abbiamo fatto oggi, che Dio va oltre. Oltre le cose pur grandi, prodigiose, del passato. Oltre – dice il lontano discepolo di Isaia – oltre quell’evento che è rimasto nella memoria collettiva, quasi come insuperabile, quello di un popolo che trova, insperato, un sentiero in mezzo alle acque possenti, sfuggendo a carri, cavalli, ed eserciti, lontano dalla schiavitù dell’Egitto.

Dio va oltre: non pensate più alle cose antiche. Oggi fa una cosa nuova, oggi apre strade nel deserto, immette fiumi nella steppa.

Ebbene, vorrei dirvi che in quell’alba nel tempio – è scritto di Gesù che all’alba si recò nel tempio – la donna sorpresa in adulterio sentì sulla sua pelle – ed era intenerita – la verità di quell’antica parola: Dio fa una cosa nuova, apre strade nel deserto, immette fiumi nella steppa. “Proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?”. Lei ora se ne accorgeva, qualcosa stava germogliando nella sua vita. In quella vita che agli occhi degli altri e ai suoi stessi occhi sembrava vagabondaggio nel deserto, ed ora si apriva una strada. In quella vita che, agli occhi degli altri e ai suoi stessi occhi sembrava regno dell’aridità, dura steppa, ora sentiva il gorgogliare dell’acqua, l’acqua che zampilla per la vita eterna. Acqua nuova era il rabbì di Nazaret, il suo silenzio, i suoi occhi non induriti a condanna, la sua voce: “Neanch’io ti condanno”.

Dio fa una cosa nuova. Nuova anche rispetto al Libro, anche quello sacro, il più sacro, nel quale, scrivendo a suo nome, a volte abbiamo fatto scivolare alcune nostre durezze: “Mosè nella legge ha comandato di lapidare donne come queste”.

E Dio no. Fa una cosa nuova rispetto al Libro. Perché sia salvaguardata l’anima profonda della legge, che non era a condanna ma a salvezza, parola data non per uccidere, ma per far vivere.

La donna lì in mezzo. Tra gli accusatori, gli uomini delle pietre, da un lato, e Gesù, colui che salva, dall’altro. Era come se fosse in mezzo a due mondi distanti all’infinito, l’infinito della durezza e l’infinito della tenerezza: la pietra e il cuore di carne. “Toglierò” – era scritto – “dal loro petto il cuore di pietra e darò loro un cuore di carne” (Ez. 11, 19).

Gli uomini di pietra facevano ancor più di pietra il cuore della donna, l’uomo dal cuore di carne suscitava germogli inaspettati, apriva strade, immetteva acque.

La Quaresima è l’incontro con il figlio dell’uomo che zittisce le condanne che sanno di ipocrisia, perché circoscrivono l’orizzonte della legge all’unico peccato della donna, quello sessuale, quello dell’adulterio, quasi esistesse solo quello: “Chi di voi è senza peccato?”. “Se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani fino agli ultimi”.

Ed è sconcertante notare che l’hanno portata, la donna, nel tempio. E che loro siano i difensori della legge e della religione, gli osservanti. E’ sconcertante notare come proprio tra gli osservanti si annidi la razza dei lapidatori. Tutto quello che sanno immaginare e proporre è lapidare, coprire di pietre.

E’ sconcertante e dovrebbe interrogarci profondamente come chiesa, può succedere anche oggi che l’uomo, la donna smarriti del nostro tempo si trovino in mezzo e percepiscano la chiesa dall’altra parte, non dalla parte del Signore, una chiesa delle pietre: di pietra lo sguardo, di pietra il giudizio, di pietra la condanna. Una chiesa pietrificata. Ciascuno di noi oggi dovrebbe interrogarsi sulla qualità della sua testimonianza: testimoniamo la chiesa di pietra o la chiesa di Gesù?

Se da un lato la donna sentiva la durezza della voce, dall’altro sentiva il silenzio che l’accoglieva, la voce che la difendeva, lo sguardo che la risollevava, la risuscitava.

Non ci è rimasta una parola che è una, scritta da Gesù. E’ emozionante pensare che l’unica sua scrittura fu nella sabbia. Che cosa abbia scritto il Signore è rimasto segreto. Ma certo nel tempio, in quell’alba, era come se avesse scritto che Dio fa cose nuove, che fa il perdono, apre vie nel deserto, immette acque nella steppa. (da un commento di Angelo Casati – http://www.sullasoglia.it)

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