Il prologo del Vangelo di Giovanni [che oggi ascoltiamo] ci salva dal pericolo di rimpicciolire il Natale: grandi emozioni e grandi pensieri! E’ vero che c’è il rischio di ridurre il Natale a una pausa: “dopo aver visitato tanti negozi, visitiamo anche una chiesa! Ecco, abbiamo fatto anche questo! Era nella lista delle cose da fare!”.
Ma è vero anche -e io da sognatore testardo continuo a ripeterlo- che tanti di noi, forse tutti qui pensano in altro modo: dopo tanto correre -e anche il Natale paradossalmente aumenta il nostro correre e il nostro affanno- veniamo qui, perché nel più profondo del cuore avvertiamo che qui -e quando dico “qui” non dico nella chiesa- qui, in Gesù, c’è quella luce, senza la quale questo mondo diventa un inferno e questo cuore -questo mio povero cuore- diventa terra di durezze e di aridità, terra senza speranze.
E io vorrei con voi brevemente indugiare su alcune parole -poche parole- del prologo di Giovanni: “In principio era il Verbo e il Verbo si è fatto carne”. In principio era il Verbo, la Parola. Qualcuno di voi, giustamente, potrebbe dirmi: “Don Angelo, non ci dai una grande notizia, dicendo che in principio era la Parola”. Siamo in un mondo di parole, siamo alla nausea della parola, si sta in piedi a parole… pensate quante se ne dicono anche in questi giorni!
Che buona notizia è dire che in principio era la parola? Ma voi sapete che in ebraico il termine “parola” (dabar) significa “parola” e “fatto” insieme e dunque una parola che accade, una parola che non resta parola, parola vuota. Gesù è la parola che accade. La Parola con la «P» maiuscola: le nostre sono piccole povere parole: hanno senso, hanno luce, se si misurano alla Sua.
Giorni fa un amico al telefono mi diceva la sua amarezza e il suo sconcerto per una società, dove “in principio”, cioè a guidarci, non è più ciò che è vero, ma ciò che piace, ciò che fa comodo, ciò che mi porta vantaggio, ciò che mi conviene. “In principio la Parola” può significare anche questo: ritornare a onorare la verità, quella che non cambia, quella che non muta con il mutare delle stagioni.
Dicevo che il Natale è la Parola che accade, Gesù è la Parola che accade, non una parola vuota. Ricordo che parlando di Caino il testo ebraico ha una stranezza; scrive: “Disse Caino ad Abele suo fratello…” e non riporta nessuna parola. “Caino” -annota Enzo Bianchi- “in verità non ha parlato, ha soltanto fatto rumore: ha emesso suoni, ma ad Abele non ha comunicato nulla. Quando usiamo toni che non ammettono repliche, quando siamo categorici, quando parliamo senza attendere le parole dell’altro e senza aver presente chi è l’altro che ci sta davanti, allora noi siamo di fatto come Caino: parliamo senza dire niente e ci prepariamo soltanto all’odio e all’omicidio”. Parola dunque, il Natale, e non rumore: la parola ha dentro il rispetto.
E “La Parola” -è scritto- “si è fatta carne”. E dunque la verità non è una definizione astratta; ha un volto la verità -la verità dei volti!-: ha il volto di Gesù, di questo bambino che crescerà. Questa vita -questa! di Gesù – è la verità. E per questo siamo qui: perché la verità è stata scritta nella carne di questo Figlio dell’Uomo. E dunque è Gesù il modo col quale va vissuta la nostra vita di uomini e di donne: questo è il modo vero, il modo pieno, il modo gioioso di vivere la vita.
Sei venuto qui a prendere un germoglio: questa nascita del Signore è come un germoglio: E’ solo un inizio. Lascia che cresca questo germoglio. Deponilo nella terra del tuo corpo, dei tuoi sentimenti, delle tue passioni, dei tuoi pensieri. Lasciati abitare. E parli questo bambino: parli alla tua vita, a tutta la tua vita.
Perdonate se finisco ricordando un volto di donna, una donna anziana, classe 1911. Ci accolse nella sua casa, una di queste ultime mattine di dicembre, il 15 dicembre. Mentre la guardavo con tenerezza, gli occhi intravidero, oltre i vetri della finestra, vasi bellissimi di ciclamini. Mi venne spontaneo dirle il mio stupore e la mia ammirazione. Mi rispose: “Io a loro parlo”. Era il segreto di quella intensità. Qualcuno, parlando, li faceva vivere.
E se provassimo a parlarci e a parlare a tutto con la stessa tenerezza, con lo stesso rispetto, con cui Dio nel suo Figlio ha parlato a noi, con la stessa tenerezza, lo stesso rispetto con cui quella donna ogni mattina parla ai suoi fiori? Non sarebbe un inizio? Piccolo, ma buon inizio? (da un commento di Angelo Casati – http://www.sullasoglia.it)
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