Nella pagina evangelica il comando che Gesù rivolge ai discepoli di dar da mangiare loro stessi alle folle affamate e stanche al declinare del giorno (cf. Lc 9,13), interpella in profondità l’agire ecclesiale.
Quel “date loro voi stessi da mangiare” non può essere ridotto ad appello alla generosità né compreso come esortazione a mutare un sistema economico sociale fondato sulla proprietà privata su un regime basato sulla condivisione e nemmeno inteso come invito a un’efficiente e adeguata organizzazione assistenziale della carità. Quel comando contesta l’indifferenza e il disimpegno verso l’altro nel bisogno (“Congeda la folla perché vada nei villaggi per alloggiare e trovar cibo”: Lc 9,12) e suscita l’obiezione dei discepoli che vedono la loro povertà come impedimento ad assolverlo (“Non abbiamo che cinque pani e due pesci”: Lc 9,13).
Il comando evangelico urta, ieri come oggi, contro i parametri di buon senso, razionalità, efficienza che pervadono anche la chiesa.
Paradossalmente, proprio la povertà che i discepoli vedono come ostacolo, è per Gesù lo spazio necessario del dono e l’elemento indispensabile affinché quel “dar da mangiare” non sia solo dispiegamento di efficienza umana, ma segno della potenza, della benedizione e della misericordia di Dio e luogo di instaurazione di fraternità e di comunione. (da un commento di Luciano Manicardi – http://www.monasterodibose.it)
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