La resurrezione del figlio della vedova di Sarepta a opera di Elia attesta, agli occhi della donna, la sua qualità di uomo di Dio, autentico ministro della sua parola (I lettura); la resurrezione del figlio della vedova di Nain attuata da Gesù lo svela, agli occhi di “tutti” (Lc 7,16), quale grande profeta, colui nel quale Dio stesso visita il suo popolo (vangelo).
In entrambi i racconti di resurrezione è presente una struttura sacramentale: parole e gesti di Elia convergono nel dare vita al giovane; nel passaggio e nell’azione di Gesù è presente la visita e l’azione di Dio stesso.
Chi è il profeta? La prima lettura mostra due visioni contrastanti del compito profetico. Nelle parole angosciate e disperate della vedova, il profeta appare come colui che svela i peccati dell’uomo, che mette a nudo la debolezza umana facendosi ministro di un Dio giudice che punisce (cf. 1Re 17,18). In questa prima visione il profeta colpevolizza, umilia, fa morire. Nell’operato di Elia, invece, il profeta appare colui che intercede e dà vita, libera dal male e fa il bene. Il profeta – e quel “grande profeta” (Lc 7,16) che è Gesù – narra la salvezza di Dio agli uomini facendo il bene e dando vita.
Gesù appare il Signore della vita creando relazione là dove vi è inconciliabilità, opposizione, estraneità: nel luogo liminale rappresentato dalla porta della città che pone in comunicazione interno ed esterno, città e campagna, luogo dei vivi e luogo dei morti, Gesù fa avvenire l’incontro tra il corteo funebre che esce dalla città e il corteo che lo accompagna per entrare in città. Quei cammini opposti, destinati solo a incrociarsi, sono condotti da Gesù a incontrarsi. L’evento straordinario della resurrezione del giovane nasce da uno sguardo di compassione che diviene gesto, azione, parola, dunque storia, grazie a un’intima decisione di Gesù. L’evento grandioso nasce nel segreto e nel nascondimento del cuore. Siamo di fronte al fondamento spirituale dell’agire. Nella casualità dell’incrociarsi, Gesù decide liberamente e volontariamente l’incontro, la compromissione, la comunicazione. Già lì vi è vittoria della vita sulla morte.
Per dare vita Gesù deve creare relazione, e per creare relazione deve lui stesso entrare in relazione. Emozioni e volontà, sensi e intelligenza, sentimento e decisione cooperano in Gesù per far diventare la compassione fattore di storia, di incontro, di dono di vita. I suoi sensi (vedere, toccare) convergono nel creare senso nell’assurdo della morte dell’unico figlio di una vedova.
Lo sguardo di Gesù vede il dolore della donna, l’insopportabile peso di morte che grava su di lei: moglie di un marito morto, madre di un figlio morto. E allo sguardo segue la parola rivolta coraggiosamente alla donna stravolta dal dolore: “Cessa di piangere” (v. 13). Anche il suo toccare il feretro è accompagnato da una parola follemente rivolta al morto: “Ragazzo, dico a te, alzati” (v. 14). La parola di Gesù sa toccare e raggiungere il tragico dell’esistenza umana. Ed è una parola audace e autorevole. Si tratta di una parola “sentita”, che nasce dalle viscere di Gesù, che lo coinvolge totalmente e che non teme di apparire folle, insensata, irragionevole nel suo rivolgersi a un morto. In realtà, è una parola totale, una parola corporea, una parola che dice e che dà, che agisce e opera: è una parola umana che rivela Dio, una parola che narra il Dio “amante della vita” (Sap 11,26).
Il testo pone in questione noi che spesso, di fronte al lutto e al dolore umano, siamo balbettanti, non abbiamo parole adeguate e finiamo nella banalità o nella predica o nella ripetizione di parole appiattite sul senso comune fallendo l’incontro con il sofferente per timore di essere contagiati dal suo soffrire.
Il testo presenta anche una dimensione ecclesiologica. L’azione di Gesù non consiste solo nel dare vita al morto, ma anche nel riunire i due cortei separati in un unico atto di riconoscimento e di lode: “Tutti glorificavano Dio”. In filigrana si intravede l’evento della resurrezione di Gesù (culmine dell’azione di salvezza di Dio per l’umanità) da cui nasce la chiesa e si scorge anche la vita ecclesiale radunata intorno alla memoria sacramentale dell’evento della resurrezione. (da un commento di Luciano Manicardi – http://www.monasterodibose.it)
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