Per come ce lo presenta l’evangelista Giovanni nel primo capitolo del suo vangelo, il Battista appartiene alla razza dei “dirottatori”, dirottatori dello spirito: fa cambiare rotta.
È come se dicesse: vi siete ingannati, avete sbagliato la meta del pellegrinaggio. Siete venuti a cercare me. Ma è un altro. Cambiate direzione. E… fuori gli occhi! Alla ricerca dei segni: “In mezzo a voi” -avete capito: in mezzo a voi – “sta uno che non conoscete”.
Fa cambiare rotta.
Ma ve la immaginate oggi una chiesa -è un sogno, e ho paura che rimanga un sogno, eppure è bellissimo – una chiesa che a quelli che accorrono, accorrono ai santuari, alle porte sante, dice: avete sbagliato meta, non sono io; il santuario, quello vero, è un altro: è Gesù, è in mezzo a voi e non lo conoscete. Io non sono niente. Io scompaio. Io diminuisco. È Lui che deve crescere. Sotto gli occhi è il contrario: io aumento, io mi mostro, io sono… e Lui scompare!
Agli uomini delle istituzioni che vanno da lui e fanno questioni di titoli, di cariche: con che titolo battezzi? Sei importante? Abbastanza importante? Dicci la tua identità: chi sei? -grande problema oggi dentro le chiese l’identità, se ne fa un gran parlare – il Battista spazza via tutte queste dissertazioni sull’identità scintillante e quasi le ironizza con quel “io non sono”… io non sono…. E, se proprio volete sapere qualcosa di me: “sono una voce, per dire un altro, non parlo di me, parlo dell’altro”. Ma quando arriveremo a questo? Quando daremo credito -dico come chiesa – a questo dirottatore dello Spirito, Giovanni il Battista?
E vorrei anche aggiungere, a proposito del Battista, che il primo dirottato fu proprio lui. Sì, perché si era spinto a sognare un Messia grande fustigatore, pulitore impietoso di aie, bruciatore, inceneritore della pula. E invece il Rabbi di Nazaret aveva dirottato i suoi sogni: da un Messia sul trono della giustizia a un Messia sul trono della misericordia, un Messia che ricalca i tratti dell’Unto, del consacrato dallo Spirito, di cui oggi parla il libro di Isaia, al cap.61, il brano che Gesù riferirà a se stesso nella sinagoga di Nazaret, il brano che annuncia un nuovo giubileo, “un anno di misericordia del Signore”.
Nel libro del Talmud è scritto: “Quando sente il suono dello shofar o del jobel, l’Eterno lascia il trono di giustizia e va a sedersi su quello della misericordia. Egli ha pietà del suo popolo e cambia il suo giudizio”. Anche questo un dirottamento. Un dirottamento di mentalità, di visioni della vita, un dirottamento che non rimane nel segreto invisibile del cuore: la misericordia, lo sguardo misericordioso, tocca la vita.
L’unzione dello Spirito, la consacrazione, l’anno del giubileo -secondo il libro di Isaia- non si risolvono in facili sconti d’indulgenza per devoti o praticanti, trovano invece riscontro in gesti ben precisi, i gesti della misericordia. “Mi ha mandato a portare il lieto annunzio ai poveri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri, a proclamare l’anno di misericordia del Signore”. Quale contrasto con i cantastorie dello Spirito, i menestrelli del sacro, quelli che, secondo uno scrittore, “sono invadenti e petulanti, assolutisti e integralisti. Più che fasciare le piaghe dei cuori spezzati cercano di prendere possesso del cuore degli adepti; più che proclamare la libertà degli schiavi, manipolano le menti e le volontà; più che proclamare l’anno della misericordia, impongono pesanti fardelli sulle spalle altrui” (Pierino Boselli). Non è questa la strada del “giubileo”. L’ “anno” deve essere della misericordia.
Anche noi chiamati, come Dio, dal trono della giustizia al trono della misericordia. (da un commento di Angelo Casati – http://www.sullasoglia.it)
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