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  • San Marcello

Ho bisogno, mi fido, ringrazio, mi affido


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Dieci lebbrosi all’ingresso di un villaggio, nove giudei e un samaritano insieme. La sofferenza li ha uniti, la guarigione li separerà. Insieme pregano Gesù ed egli: appena li vede… Notiamo il dettaglio: subito, senza aspettare un secondo di più, appena li vede, con un’ansia di guarirli. La sua fretta mi ricorda un verso bellissimo di Twardowski: affrettiamoci ad amare, le persone se ne vanno così presto! Affrettiamoci ad amare…

Gesù disse loro: Andate a presentarvi ai sacerdoti. E mentre andavano, furono purificati. Sono purificati non quando arrivano dai sacerdoti, ma mentre camminano, sui passi della fede.

Nove dei guariti non tornano: scompaiono nel vortice della loro felicità, dentro gli abbracci ritrovati, ritornati persone piene, libere. Unico, un eretico straniero torna indietro e lo fa perché ascolta il suo cuore, perché intuisce che la salute non viene dai sacerdoti, ma da Gesù; non dall’osservanza di leggi e riti, ma dal rapporto vivo con lui. Per Gesù conta il cuore e il cuore non ha frontiere politiche o religiose. Il centro del brano è l’ultima parola: la tua fede ti ha salvato. Nove sono guariti, ma uno solo è salvato. Per fede. Nel racconto possiamo distinguere i tre passi fondamentali del cammino del credere: ho bisogno / mi fido / ringrazio e mi affido. La fede nasce dal bisogno, dal grido universale della carne che soffre, dalla nostra fame di vita, di senso, di amore, di salute, quando non ce la fai e tendi le mani.

Poi «mi fido». Il grido del bisogno è ricco di fiducia: qualcuno ascolterà, qualcuno verrà, già viene in aiuto. I dieci si fidano di Gesù e sono guariti. Ma a questa fede manca qualcosa, una dimensione fondamentale: la gioia di un abbraccio, una relazione, una reciprocità, una risposta.

Il terzo passo: ti ringrazio è compiuto dallo straniero. Il filosofo Hegel dice: denken ist danken, pensare è ringraziare, perché siamo debitori, di tutto. E il poeta Turoldo: io vorrei dare una cosa al mio Signore, ma non so che cosa… ecco, la vita che mi hai ridato, te la rendo nel canto.

Allora corro da lui, mi stringo a lui, come un bambino alla madre, come l’amato all’amata, quando ciascuno mette la propria vita, e i sogni e il futuro, nella mani dell’altro.

Tutti hanno ricevuto il dono, uno solo ha risposto. La fede è la libera risposta dell’uomo al corteggiamento di Dio. Ed entrare in contatto con la madre di tutte le parole religiose: «grazie». Voglio fare come quello straniero: domani inizierò la mia giornata tornando a Dio con il cuore, non recitando preghiere, ma donandogli una cosa, una parola: «grazie». E lo stesso farò poi con quelli di casa. Lo farò in silenzio e con un sorriso. (da un commento di p. Ermes Ronchi, osm)

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