È lecito dare tributo a Cesare o no? La domanda è perfida: tu che hai preso tra i dodici sia Matteo, raccoglitore di tributi a Cesare, sia Simone lo zelota, il guerrigliero armato pronto all’insurrezione, tu con chi stai? Sei un collaborazionista, o un sovversivo?
Gesù risponde con due cambi di prospettiva. Muta il verbo dare in restituire: restituite a Cesare ciò che è di Cesare. Usa un imperativo, forte, collocato all’inizio della frase, che non si riferisce né ad una moneta, né ad un imperatore, né ad un tributo specifico, ma ad un comandamento complessivo. Ridate indietro a Cesare e a Dio, perché nulla di ciò che hai è davvero tuo. Di nulla sei padrone, tutto è dono, che viene da prima di te e va oltre te. Esistere non è un diritto, prima ancora è un debito. Sei in debito verso Dio e verso gli altri, genitori, amici, storia, cultura, lavoro: anche sul tuo pane quotidiano è impressa la storia d’innumerevoli mani, e la mano di Dio. Un tessuto di debiti è la tua vita: paga il tuo debito d’amore, di benessere, di salute, d’istruzione. Vita va, vita viene. Da altri a te, da te ad altri, in circuito aperto. Dal momento che inizi ad esistere, tu esisti in alleanza. Anzi, sintesi di due alleanze, crocifisso alla croce di due amori: quello di Dio e quello degli uomini.
Chi è Cesare? Solo lo Stato, il potere, con il suo pantheon di facce note? Forse che io non sono parte di questa società? Allora mi spetta di dare qualcosa. Non mi basterà più dire: tu che cosa pensi del nostro mondo? Ma ti domanderò: tu che cosa dai alla nostra società? Che cosa fai per rammendare questo nostro paese dove abbiamo la ventura e il dono di esistere? E, se Cesare sbaglia, il mio tributo sarà correggerlo; e se ruba gli porterò il tributo della coscienza che gli ricorda i suoi doveri.
La seconda novità provocatoria Gesù la introduce con il richiamo a Dio. Questa è la vera questione cui vuole rispondere, la scelta decisiva: che cosa occorre rendere a Dio. A Cesare spetta una cosa, la moneta. A Dio spetta la persona, con tutto il suo cuore, con tutta la sua mente, con tutte le sue forze. Io, come talento che porta l’effigie di Dio, devo restituire niente di meno di me stesso. Devo restituire la mia vita, facendo brillare l’immagine coniata in me, progressivamente, finalmente uomo. Restituite a Dio ciò che è di Dio. Parola che dice a Cesare: non prendere l’uomo. Non rubare l’uomo. L’uomo è cosa di un Altro. Cosa di Dio.
A me dice: non iscrivere appartenenze nel cuore che non siano a Dio. Libero e ribelle a ogni tentativo di possesso, ripeti a Cesare: io non ti appartengo. Proclama le opere meravigliose di Dio, non quelle di Cesare. Non vivere senza mistero. Senza lo stupore di essere vivo. (da un commento di p. Ermes Ronchi, osm)
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