Ho sentito poche volte parlare del cardinale Carlo Maria Martini, ma un giorno don Gianni mi ha dato un foglietto, il cui titolo era quello del post e riportava un suo discorso di quando era vescovo. Alcuni di voi lo conoscono ma altri sicuramente no, oppure non lo leggono da un po’. Egli suggeriva un modo per riscoprire il sacramento della Riconciliazione e io lo trovo molto utile, quindi voglio condividerlo con voi:
A partire dalle due domande, ritengo utile spendere qualche parola sulla Confessione sacramentale che di solito si può fare con maggiore tranquillità e più distesamente durante i giorni di di Esercizi. In Europa, ma forse anche da voi, si verifica una crisi della Confessione. E’ probabilmente un’altra conseguenza di quegli atteggiamenti negativi che abbiamo sottolineato: perdendo il senso della gratuità dei doni di Dio, si perde pure il senso del peccato e non si capisce perchè sia necessario chiedere perdono. Forse però la crisi proviene soprattutto da una concezione troppo formale del sacramento della Riconciliazione: si elencano i peccati per avere l’ assoluzione. In realtà la Riconciliazione è frutto di un processo interiore e, in proposito, vi offro un consiglio che ho sperimentato da parecchi anni. Mi sono detto: dal momento che è difficile, poco gratificante una confessione formale e breve, perchè non farne una più lunga? Ho trovato un procedimento molto semplice, vissuto poi da tantissime persone cui l’avevo suggerito, che chiamo colloquio penitenziale e si appoggia su tre parole latine: confessio laudis, confessio vitae, confessio fidei.
E’ utile iniziare con la confessione di lode, con un’azione di grazie: esprimo al sacerdote ciò di cui vorrei ringraziare il Signore. Talora mi capita di dover confessare la gente e allora, prima che una persona si affretti a sciorinare i suoi peccati, le chiedo: è accaduto qualcosa per cui sente il bisogno di ringraziare Dio? E magari mi si risponde: Sì, è guarito mio figlio che era ammalato…si è aperta una soluzione a un problema difficile… Comincia quindi con il riconoscimento dei doni, delle grazie speciali che Dio mi ha fatto nella vita, in questo mese, e delle grazie proprie della vocazione. 2. Così diventa facile passare alla confessione della vita, dei peccati, partendo dall’esame di coscienza sui comandamenti di Dio, sull’amore di Dio e del prossimo, sui nostri doveri, sulle beatitudini evangeliche. Tuttavia, a chi non sa bene cosa dire, pongo il seguente interrogativo: c’è qualcosa in te, in questo momento, che ti dispiace? Che cosa vorresti non aver fatto, che cosa ti pesa sulla coscienza? E’ una buona domanda perchè consente di portare allo scoperto le cause del peccato, oltre che i peccati formali. Le cause: antipatie, ire, invidie, gelosie, avarizia, una certa malizia, una certa cattiveria che sentiamo dentro, disgusti, repulsioni che non osiamo confessare nemmeno a noi stessi. Tutti i nostri peccati, i nostri nervosismi, il nostro modo scorretto di trattare il prossimo hanno radice nell’incapacità di accettarsi, di voler bene, nel timore di non essere accettati e amati. In fondo, è quel male interiore che ci dispiace, che non vorremmo avere, ma scoprendolo possiamo metterlo davanti agli occhi di Dio e gettarlo con semplicità nel suo cuore di Padre. 3. La confessione della fede conclude il colloquio, ed è preghiera di intercessione e di speranza: Gesù, abbi pietà di me, perdona i miei peccati, aiutami a rialzarmi! In tal modo la confessione è fondata su un processo di purificazione e la si vive come un esercizio che fa bene, che rinnova, corrobora, consola e stimola a camminare sulle strade del Signore. Carlo Maria Martini, Vescovo
Grazie Cardinale per questo consiglio!
Maria
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