top of page
San Marcello

La corsa in avanti e l’albero di riserva


Zaccheo_Icona

Ci accompagna ancora l’icona di Zaccheo (Lc 19, 1-10): il pubblicano che si arrampica su un sicomoro perché cercava di vedere chi era Gesù. Il suo desiderio si fa meraviglia nel momento in cui Gesù, sotto quell’albero, si ferma, alza lo sguardo, lo chiama per nome e si invita a casa sua. Proprio dinanzi a quell’Amore, «Primo», che previene e supera di gran lunga ogni aspettativa e desiderio dell’uomo, il peccatore scende da quell’albero, dove credeva di poter rimanere nascosto, e non solo apre la porta della sua casa al Signore, ma da quella casa, “alzatosi” … inizia il suo cammino verso “traguardi alti”, prima forse impensabili, ma ora, “raggiungibili”: «Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto». E si sente rispondere da Gesù: “Oggi per questa casa è venuta la salvezza”.

Zaccheo “si” converte – dicono in tanti – cambia vita, diventa migliore. È vero, ma la forza del cambiamento non sta in quel “si”, che concentra tutto nell’azione e nello sforzo dell’uomo, ma nell’incontro e nell’esperienza dell’Amore «Primo» che lo ha cercato, lo ha rimesso in piedi ed è diventato in lui sorgente di ogni altro amore e senso, “salvezza”. Solo così la vita di Zaccheo non si spegne, ma torna ad essere un canto di festa.

Prima dell’incontro con Gesù, Zaccheo era posseduto da tutto ciò che possedeva, come tutti quelli (giovani e meno giovani) che sono posseduti dall’autosufficienza, dalle proprie “idee” e dai propri “ideali”, dal narcisismo, dalla preoccupazione della propria immagine e dalla certezza che tutto dipenda dalle proprie “capacità” e “qualità”. Ora, se la conversione fosse stata solo opera sua e della sua buona volontà, Zaccheo sarebbe stato ancora troppo ricco di sé e povero dell’“essenziale”, del “tutto”. Dopo l’incontro con Gesù, Zaccheo ricorda anche a noi che Dio vede e ama nell’uomo non tanto ciò che c’è, quanto ciò che deve ancora nascere e che può nascere dentro di lui: l’uomo nuovo salvato da Cristo. “Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto”. Nella casa di Zaccheo, in lui, “figlio di Abramo ritrovato”, è venuta la salvezza! L’ha portata Cristo!

Per Zaccheo, “risorto”, “redento” già da quella cena in casa sua, preludio di un’altra cena, l’ultima di Gesù, tutta protesa alla Croce, non c’è più un futuro incerto, né un passato da temere. Tutto è salvo. “La salvezza è venuta, oggi”. E non quando lui sarà più buono, non quando lui sarà più bravo, non quando lui non farà più peccati. Ma da quando Gesù lo ha cercato, lo ha trovato, e la salvezza è venuta nella sua casa.

Non è questo il frutto più autentico e più bello della Pasqua di Cristo? La nostra salvezza… Ed essa è frutto di un altro Albero, quello della Croce. Zaccheo per cercare Gesù era salito su un albero di sicomori; Gesù per cercare l’uomo è salito sull’albero della Croce e dalla Croce l’ha salvato. Sulla Croce fino alla fine, avrà sete … di noi, “di quella sete che noi portiamo nel nostro cuore”. Alla Croce, Albero di vita, volgiamo lo sguardo per essere guardati da Colui che da lì può vedere tutti e darci tutto, dandoci la Sua Vita affinché noi vivessimo in Lui.

Aveva ragione il Concilio Vaticano II ad affermare che quel Gesù cercato, incontrato e riconosciuto «… svela pienamente l’uomo all’uomo e gli fa conoscere la sua altissima vocazione»  (cf. GS 10).

(da un commento di don Mario Castellano, http://www.arcidiocesibaribitonto.it)

1 visualizzazione0 commenti

Post recenti

Mostra tutti

Commentaires


bottom of page