Una sera, in riva al lago, cinquemila uomini con donne e bambini: un amore li ha condotti nel deserto, al limite della notte, Gesù. I discepoli, uomini pratici, dicono: congedali perché vadano a comprarsi da mangiare. Il maestro ribatte: date loro voi stessi da mangiare. Due atteggiamenti opposti, riassunti da due verbi: comprare o dare. Comprare, dicono gli apostoli. Ed è la nostra mentalità: se vuoi qualcosa, lo devi pagare. Non c’è nulla di scandaloso, ma neppure nulla di grande in questa nostra logica dove trionfa l’eterna illusione dell’equilibrio del dare e dell’avere. In questo sistema chiuso, prigioniero della necessità, Gesù introduce il suo verbo: date voi stessi da mangiare. Non già: vendete, scambiate, prestate; ma semplicemente, radicalmente: date. E sul principio della necessità comincia a spuntare, a sovrapporsi un altro principio: la gratuità, l’amore senza calcoli, il disequilibrio, dare senza aspettarsi niente. Solo la gioia, forse.
Ci sono molti miracoli in questo racconto e il primo è che nulla, neppure la fame, il deserto o la notte, separa quei cinquemila dal fascino di Cristo; poi viene quello dei cinque pani che passano dalle mani di uno alle mani di tutti. Il miracolo della moltiplicazione comincia quando il pane da mio diventa nostro, nostro pane quotidiano. Il pane per me stesso è una questione materiale, il pane per il mio vicino è una questione spirituale.
Dacci il nostro pane, diciamo. Ma quella domanda rimbalza da Dio fino a noi: date loro voi stessi da mangiare; date e vi sarà dato, una misura piena, abbondante (Luca 6,38). Misteriosa regola del Regno: poco pane, condiviso tra tutti, è sufficiente, diventa il pane di Dio. La fame comincia quando io tengo il mio pane per me, quando l’Occidente tiene il suo pane per sé.
In questo nostro mondo il primo miracolo, impossibile e pure necessario, è la condivisione. Sfamare la terra è un miracolo possibile se la condivisione si fa possibile. La moltiplicazione verrà, perché chi condivide convoca Dio, lo provoca, mette il pane nelle sue mani, diventa dipendente dal cielo e Dio non abbandona, e cinque pani basteranno per una folla e i pezzi avanzati riempiranno dodici ceste. Nulla andrà perduto, nulla è troppo piccolo per non servire alla comunione.
Il profeta ripete: chi ha fame, venga e mangi, senza denaro e senza spesa. Ma quale fame morde dentro di noi? Fame solo di pane? Oppure fame di Dio per noi e per gli altri? Fame di giustizia, di felicità per noi e per gli altri? Fame solo di comperare o anche fame di dare? Il Signore sia il nostro vero affamatore e sapremo dare pane a chi ha fame e accendere fame di cose grandi in chi è sazio di solo pane. (da un commento di p. Ermes Ronchi, osm)
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