Le prime parole sono da custodire, vi abita la freschezza dell’ ”in principio”, la freschezza della sorgente. Sono dunque da custodire e da esplorare queste che sono le prime parole di Gesù nel vangelo di Marco, l’”in principio” delle sue parole.
Marco annota anche il contesto, il paesaggio di quella prima predicazione: Gesù si recò nella Galilea. Dal Giordano del Battesimo, dal deserto della tentazione, il ritorno in Galilea e cioè nel luogo della quotidianità. Alla Galilea, al luogo della quotidianità rimanderanno le ultime pagine del Vangelo, con il comando del Risorto ad un appuntamento in Galilea, là lo vedranno.
La Galileaall’inizio,la Galileaalla fine, quasi per insegnarci che la chiamata di Gesù, l’esperienza della fede non è chissà dove, non è in luoghi privilegiati o separati, è dentro l’avventura quotidiana della vita; nella “normalità” “la paradossalità”.
Le prime parole di Gesù sembrano sottolineare un’urgenza: “il tempo è compiuto”. Come se Gesù dicesse: non c’è da rimandare, non c’è da aspettare, non c’è da rinviare, è scaduto, sta per scadere il tempo. Ed è parola, questa, oltremodo eloquente per le nostre generazioni: ci segnano la fatica e la paura di scelte definitive; sembriamo abitare l’indecisione.
Ed ecco l’annuncio, prima parola, una gerarchia di tempi da rispettare: “Il regno di Dio è vicino, è qui”. Annuncio sorprendente, forse anche per noi credenti abituati a pensare che il regno di Dio sia da raggiungere. Regno di cui fare faticosamente la scalata. Al contrario: è vicino, è qui, in mezzo a voi. “Dentro di voi”: dirà Gesù in un altro passo del Vangelo.
Che il regno di Dio, che il sogno di Dio sia arrivato fino a noi, è di certo una buona notizia e, nell’evangelo, questo fa la buona notizia. Che il regno di Dio sia lontano, che notizia buona sarebbe? E che Dio sia un Dio vendicativo e ci guardi sdegnato dai cieli, che buona notizia sarebbe, che evangelo sarebbe?
Forse potremmo anche dire, e a ragione penso, che il regno di Dio, il sogno di Dio, in mezzo a noi è Gesù di Nazaret: è questa storia che Marco si accinge a raccontare. Di conseguenza l’imperativo “convertitevi e credete al Vangelo” suona come invito non in prima istanza a una conversione morale, ma a cambiare direzione, a volgersi con lo sguardo, con il desiderio, con la vita a Gesù, invito a seguirlo.
E così il piccolo brano dell’annuncio, dell’annuncio che sta nell’”in principio” si lega al brano della chiamata dei discepoli che è difficile, io penso, leggere senza essere colpiti, conquistati, sedotti.
I luoghi della chiamata di Gesù, sono i luoghi quotidiani: si parla di lago -Gesù amava quel lago! -, si parla di barche, di reti, di pescatori. Gesù li osservava: li sorprendeva in quell’arte e in quella passione di pescatori, nella cura delle barche e delle reti. Questo brano ha l’odore del lago, dei pesci, ha l’odore acre del sudore dei pescatori. La chiamata di Dio è dentro questo odore.
E colpisce quella parola nuda del Signore, una parola che racchiude tutte e fa il discepolo: “Seguitemi”. I discepoli, noi, quelli che seguono.
Colpisce anche l’immediatezza dell’ascolto, l’obbedienza assoluta: “E subito, lasciate le reti, lo seguirono”. così è detto di Simone e Andrea. “Ed essi lasciato il loro padre nella barca con i garzoni, lo seguirono”: così è detto di Giacomo e di Giovanni, suo fratello.
Voi mi direte che qui esplode il paradosso. Non abbiamo appena finito di dire che l’appello di Dio, in Gesù di Nazaret, parte dalla Galilea e riconduce in Galilea, e che l’esperienza della fede è dentro la quotidianità? E qui ci si chiede di lasciare il lavoro, di lasciare gli affetti, lavoro e affetti che fanno la nostra esistenza quotidiana.
C’è qualcosa, così mi sembra, da capire, se non vogliamo sconfinare in interpretazioni semplicistiche e superficiali.
Non so se anche a voi è capitato qualche volta di fermarvi a pensare che poi i discepoli li ritroviamo nelle pagine del vangelo come quelli che hanno ancora a che fare con le barche, la pesca, i parenti: hanno lasciato o non hanno lasciato? Che cosa significa lasciare le reti, lasciare il padre e la madre?
Dovremmo ritornare alla parola “seguitemi”. Significa darsi a Cristo nell’assolutezza che non darai mai a nient’altro e a nessun altro, significa mettere il regno di Dio, il sogno di Dio, prima di tutto: “Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia”, significa aver intuito che il lavoro, gli affetti rappresentano tanto nella nostra vita, ma non sono tutto: non sono un idolo a cui tutto va sacrificato.
“I discepoli di Gesù” -scrive Giovanni Borsato- “in fondo, non hanno lasciato il lavoro quotidiano e i parenti: li incontreremo ancora sul lago a pescare e continueranno ad avere rapporti con i familiari, ma certo hanno abbandonato la mentalità che fa del lavoro il centro e il tutto della vita”.
E dunque, se, dietro queste parole “Seguitemi”, sai partire, significa che sei sfuggito all’imprigionamento, al soffocamento, significa che ti è rimasta la libertà: la forza, il coraggio, la gioia della libertà. (da un commento di Angelo Casati – http://www.sullasoglia.it)
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L’immagine: Duccio di Buoninsegna – Chiamata di Pietro e Andrea
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