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San Marcello

Sulla solida Roccia


La casa costruita sulla roccia (cf. Mt 7,24-27) è l’ascolto delle parole del Signore che diviene prassi. La casa è l’ascolto e la roccia è la prassi. La prassi poi si sintetizza, per Matteo, in un punto particolare: la misericordia (che è ciò che il Padre vuole: Mt 9,13; 12,7; cf. Mt 7,21), l’amore per il prossimo. Coloro che rivendicano le loro prestazioni religiose davanti al Signore si vedono ridurre le loro “azioni sante” a “iniquità” (Mt 7,23). E per Matteo l’iniquità è ciò che spegne la carità e si oppone all’amore fraterno: “Per il dilagare dell’iniquità l’amore di molti si raffredderà” (Mt 24,12). In linea con le parole di Paolo nell’encomio della carità in 1Cor 13,1-7, Matteo afferma che la liturgia, la profezia, le azioni carismatiche, i gesti terapeutici, non valgono nulla davanti al Signore se sono scisse dalla concreta carità, dal concreto amore per il prossimo e per i piccoli, che è ciò in cui per lui si sintetizza la “giustizia maggiore” richiesta da Gesù ai cristiani (cf. Mt 5,20; 7,12; 19,19; 22,39-40).

Questi cristiani hanno retta fede, partecipano alle liturgie (“Signore, Signore”), profetizzano veramente, fanno davvero miracoli e scacciano sul serio demoni: non è solo gente che dice ma non fa. Essi fanno, e molto. Ma una chiesa il cui servizio di santificazione, istruzione e guida, il cui magistero e la cui azione caritativa non divengano un annuncio nei fatti della misericordia di Dio, non facciano sentire perdonati gli uomini, non incontrino realmente i poveri destinatari delle sue azioni caritative e della sua attività assistenziale, non guardino il mondo e gli uomini con lo sguardo misericordioso del Padre, rischia di essere una chiesa che vede solo se stessa, accecata. Pensa di aver fatto tutto in nome di Cristo, e viene smentita da Cristo stesso. L’atteggiamento dei cristiani che saranno sconfessati da Cristo nel giudizio è anzitutto stigmatizzato perché abitato dalla pretesa, dalla presunzione di avere agito in nome di Cristo (cf. l’espressione “in tuo nome” ripetuta tre volte in Mt 7,22). Vi è una certezza che è incompatibile con la confessione di fede e che diviene presunzione. Se l’elemento veritativo della confessione di fede cristiana è l’amore per il prossimo, chi mai potrà essere certo di avere amato pienamente, adeguatamente, senza ombre e senza aver ferito? L’insicurezza in cui ci pone l’amare è la benedetta destabilizzazione delle pretese e della presunzione a cui il credere può dare origine.Mettere in pratica le parole ascoltate dal Signore significa personalizzare l’atto di fede con la creatività che conduce il credente a dare la sua personalissima inflessione all’obbedienza. Chiamato a vivere la Parola del Signore e ad amare il volto del prossimo, il credente è immesso in un cammino segnato da creatività, discernimento e  intelligenza. Lì si manifesta la sua sapienza (cf. Mt 7,24). (Luciano Manicardi, Comunità di Bose)

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