Gesù amava i banchetti, li adottava a simbolo della fraternità e a pulpito del suo annuncio di un Dio e un mondo nuovi. Invitarlo però era correre un bel rischio, il rischio di gesti e parole capaci di mettere sottosopra la cena, di mandare in crisi padroni e invitati.
Ed ecco che, presso un capo dei farisei, diceva agli invitati una parabola, notando come sceglievano i primi posti, notando come entrare nella sala era entrare in un clima di competizione, osservando come si dissolveva in invidie e rancori il senso della cena insieme che è la condivisione. Vedendo la corsa ai primi posti, reagisce opponendo a quella ricerca di potere un gesto eloquente e creativo: Quando sei invitato va a metterti all’ultimo posto. Ma non per umiltà, non per modestia, ma per creare fraternità, per dire all’altro: prima tu e dopo io; tu sei più importante di me; vado all’ultimo posto non perché io non valgo niente, ma perché tu, fratello, sia servito per primo e meglio. L’ultimo posto non è una condanna, è il posto di Dio, venuto per servire e non per essere servito. La pedagogia di Gesù è «opporre ai segni del potere il potere dei segni» (Tonino Bello), segni che tutti capiscono, che parlano al cuore. All’ultimo posto non per umiltà ma per rovesciare, per invertire la scala di valori su cui poggia la nostra convivenza e per delineare un altro modo di abitare la terra.
E poi, rivolto a colui che l’aveva invitato, aggiunge: Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici, né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini. Sono i legami normali che garantiscono l’eterno equilibrio del dare e dell’avere, la difesa dei tuoi beni e gli interessi del tuo gruppo; sono i legami che tengono insieme un mondo che si difende e si protegge, che segue la legge un po’ gretta della reciprocità e del baratto, e che non crea inclusione.
Ma c’è, alla periferia del tuo, un altro mondo, e ti riguarda: Quando offri una cena invita poveri, storpi, zoppi, ciechi. Accogli quelli che nessuno accoglie, crea comunione con chi è escluso dalla comunione, dona senza contraccambio, dona in perdita a coloro che davvero hanno bisogno e non possono restituire niente. Gesù ha un sogno: un mondo dove nessuno è escluso, una città da costruire partendo dalle periferie, dagli ultimi della fila, dagli uomini del pane amaro.
«E sarai beato perché non hanno da ricambiarti». Sarai beato, troverai la gioia e il senso pieno del vivere nel fare le cose non per interesse, ma per generosità. È la legge della vita: per star bene l’uomo deve dare, amando per primo, in perdita, senza contraccambio. Sarai beato: perché Dio regala gioia a chi produce amore. (da un commento di p. Ermes Ronchi, osm)
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