Aveva appena finito di leggere, nella sinagoga di Nazaret, un passo del libro di Isaia . Il passo dice: “Lo Spirito del Signore è su di me. Mi ha unto per annunziare la buona notizia ai poveri, la liberazione ai prigionieri, il riacquisto della vista ai ciechi, il mandare in libertà gli oppressi, il proclamare un anno accetto al Signore”.
Arrotola il libro, lo rende all’inserviente, si siede. Gli occhi di tutti nella sinagoga sono fissi su di lui. Ed ecco dice: “Oggi si è adempiuta questa scrittura”.
E succede l’incredibile, l’inspiegabile. C’è un succedersi di sentimenti, di reazioni nell’uditorio che ha dell’incredibile, dell’inspiegabile. Anche noi facciamo fatica a capire.
Dapprima stupore, meraviglia per le parole di grazia che uscivano dalla sua bocca.
Ma ecco insinuarsi subito una perplessità, un’esitazione: “Non è il figlio di Giuseppe costui?”.
E poi tutti -dico tutti- tutti infuriati nella sinagoga, tutti a rendere testimonianza e poi tutti nella sinagoga pieni di furore. Si alzano, lo cacciano fuori, lo conducono fino al ciglio del monte per precipitarlo giù.
Ma perché? – ci chiediamo-. Che cosa è capitato?
Una spiegazione la dà Gesù: “In verità vi dico che nessun profeta è accetto nella sua patria”.
Gesù dà un criterio che vale per sempre, vale per tutti i tempi. Tutti i tempi conoscono l’ostracismo in patria dei profeti.. E poi succede -succede sempre- anche un’altra cosa, anche questa ricordata da Gesù: si rivalutano i profeti del passato, si chiede perdono per quelli cui è stata fatta violenza ieri e si continua, si persiste nell’ostracismo, nella violenza nei confronti dei profeti di oggi: pensate che cosa è successo per don Mazzolari, per Padre Turoldo, per don Lorenzo Milani. E ai loro nomi potremmo aggiungere nomi di teologi impegnati, illuminati, appassionati del popolo di Dio.
Uomini, ma anche donne, nella cui voce era facile percepire il sussulto della profezia, delle parole di Gesù che dava per possibile un cambiamento, una svolta, un’immagine nuova, un modo diverso di pensare, di progettare, di agire.
No. Esiliati! Portati fuori dalla sinagoga: un modo come l’altro per dire: siete eretici, siete dissacratori, state fuori.
E Gesù diceva: “Nessun profeta è accetto nella sua patria”. Sono cacciati fuori.
E come è vero. Alcune delle voci che abbiamo ricordato, quanta eco – quanta! – ebbero fuori, fuori dei confini istituzionali della Chiesa.
Ma perché non in patria?
Forse perché -così sembra capire dalle parole di Gesù- la patria spesso è la patria della pretesa. “I miracoli che hai fatto a Cafarnao, falli anche qui nella tua patria”. Una pretesa.
La chiesa che preferisce i miracoli alla parola di Dio, che non dà spazio alla parola – a volte scomoda – dei profeti, divenuta, prima o poi, vuota di Gesù, come quella sinagoga di Nazaret.
E anche noi, se prendessimo sempre più nella vita la figura della pretesa, anziché dell’attesa, pieni di pretese nei confronti di Dio e degli altri.
Se diventiamo uomini e donne della pretesa anziché della paziente attesa, prima o poi esilieremo dalla nostra vita le profezie.
Perché il profeta non è accetto in patria?
Nel brano del Vangelo è allusa anche un’altra motivazione. Dicono: “Non è il figlio di Giuseppe costui?”.
Che sia profeta l’uomo dell’eccezionalità, forse lo accettiamo, ma che sia profeta un figlio di falegname, uno che vedi tutti i giorni, l’uomo e la donna delle cose ordinarie, facciamo fatica ad accettarlo.
E, così facendo, svuotiamo di profezia e d’importanza le cose più quotidiane, gli incontri più quotidiani. “È il figlio del falegname! Che cosa vuoi che ti dica quello?”.
La profezia -voi mi capite- può andare insieme al figlio del falegname. Sta in ascolto di ogni cosa, sta in ascolto di ogni creatura, sta in ascolto della vita quotidiana.
Siamo in perfetta sintonia di pensieri con le parole di Paolo ai Corinzi. Paolo mette in guardia dal ricercare chissà quali grandi carismi: le grandi profezie, la grande fede che sposta le montagne, le grandi preghiere, i grandi gesti di carità -la carità presbite che guarda lontano e non vede i vicini-, e ci invita a questa carità quotidiana, fatta di attenzione, di rispetto, di fiducia. È questa carità che non verrà mai meno. (da un commento di Angelo Casati – www. sullasoglia. it)
Comments