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San Marcello

Comunità come luogo di rivelazione dei limiti personali

Selezione a cura di Clemente Gabriele

Quando chi ha conosciuto l’isolamento di una grande città, o un mondo di aggressione e di rifiuto, entra in comunità, trova un calore e un amore molto vivificanti. Inizia a togliersi la maschera, a lasciar cadere le sue barriere e a diventare più vulnerabile. Vive un tempo di comunione e di gioia profonda.

Ma togliendosi la maschera e diventando vulnerabile, scopre anche che la comunità è un luogo terribile perché è un luogo di relazioni, perché rivela la nostra affettività ferita e rivela quanto può essere difficile vivere con altri, specialmente con certe persone. È molto più facile vivere con libri, oggetti, con la televisione, la musica … è tanto più facile vivere da soli e stare con gli altri quando se ne ha voglia.

Quando si è in relazione sempre con le stesse persone, quando ormai ci si conosce, emergono tutte le gelosie, la paura degli altri, il bisogno di dominare, di scappare o di nascondersi che abbiamo vissuto nella nostra infanzia. Tanta miserie che abbiamo dentro di noi e di cui non sempre siamo coscienti sembrano risalire alla superficie della nostra coscienza. Si è angosciati dalla vicinanza di certe persone che si aggrappano a noi, che ci chiedono troppo oppure la cui presenza ci ricorda i nostri genitori.

La comunità è il luogo nel quale sono rivelati i limiti, le paure e l’egoismo di una persona. Si scopre la propria povertà e le proprie debolezze, l’incapacità ad intendersi con alcuni, i propri blocchi, la propria affettività turbata, i desideri che sembrano insaziabili, le frustrazioni e le gelosie, gli odi e la voglia di distruggere. Finché si era soli si poteva credere di amare tutti e di andare d’accordo con tutti.

Quando i rapporti sono ravvicinati, quando si trascorrono alcuni giorni insieme a tempo pieno, quando i rapporti diventano stabili, forse addirittura quotidiani, allora ci si rende conto di quanto si è incapaci di amare, di quanto si rifiutino gli altri, di quanto si è chiusi su di sé. E se si è incapaci di amare, che resta di buono? Non c’è più che disperazione, angoscia e bisogno di distruggere. Allora l’amore sembra un’illusione.

La vita comunitaria è la rivelazione penosa dei limiti, delle debolezze, delle tenebre di ogni essere; è la rivelazione, spesso inattesa, dei mostri nascosti dentro di noi. È difficile accettare questa rivelazione. Si cerca di allontanare rapidamente questi mostri, o di nasconderli di nuovo, di illudersi che non esistano; oppure si fuggono la vita comunitaria e le relazioni con gli altri; o ancora si pretende che quei mostri siano negli altri e non in noi. I colpevoli sono sempre e solo gli altri …

Ma la ferita che tutti portiamo in noi e che cerchiamo di non vedere e di fuggire, può diventare il luogo dell’incontro con Dio e con i nostri fratelli e sorelle; può diventare il luogo in cui impariamo ad amare, ad avere compassione degli altri.

(Jean Vanier, La comunità: luogo del perdono e della festa, Jaca Book, Milano 2000, pp. 44-45.47).

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