Ogni domenica e in ogni festa religiosa ricevo una email da Gianluca con il commento al Vangelo di un sacerdote, spesso è quello di don Luciano. Li trovo sempre molto belli, ma questa domenica mi ha colpita veramente, quindi voglio condividerlo con voi.
Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna.” (Giovanni 3,16)
Quell’adolescente viveva da solo con il padre, e tra i due si era creato un rapporto davvero speciale, da quando la mamma era morta qualche anno dopo la sua nascita. Sebbene il figlio fosse sempre in panchina, suo padre era sempre sugli spalti a fare il tifo. Non aveva mai perso una partita del figlio. Quando il ragazzo faceva le medie, fisicamente era il più debole della sua classe. Ma suo papà continuava a incoraggiarlo lo stesso, tuttavia facendogli anche capire che se non voleva giocare a pallone lui avrebbe in ogni caso approvato la decisione del figlio. Ma il ragazzo amava il calcio disperatamente, ed era deciso a dare il meglio di se’ stesso a ogni allenamento, sperando di entrare in futuro nelle giovanili di qualche squadra importante.
Durante le scuole medie non era mai mancato a un allenamento o a una partita, ma rimase a scaldare le panchine per tutti quei tre anni. Suo papà era sempre tra gli spettatori, fedele, sempre a incoraggiarlo quando non lo facevano giocare, ossia tutte le volte. Quando il ragazzo cominciò le scuole superiori, fece un provino con una squadra che giocava nei tornei superiori. Tutti erano sicuri che non ce l’avrebbe fatta, ma fu accettato. L’allenatore lo fece andare in panchina perché ci metteva corpo e anima negli allenamenti, era un bravo ragazzo, e sapeva creare un buon spirito di gruppo. Per questa ragione, e non per altre, lo tenne in squadra.
Il fatto di giocare con una categoria superiore mandò il morale del ragazzo alle stelle. Il papà era felice per lui, e continuava a essere presente a ogni partita.
Questo adolescente non perse un allenamento durante i cinque anni delle superiori, ma non giocò mai una partita, nemmeno uno spezzone. Verso la fine del campionato, durante un allenamento, il ragazzo ricevette una telefonata al cellulare, e diventò di ghiaccio. Con la testa bassa, disse all’allenatore: “Mio papà è morto. Fa niente se manco agli allenamenti questa settimana?” L’allenatore gli mise un braccio sulle spalle e rispose: “Prenditi tutto il tempo che vuoi, ragazzo. E domenica prossima non preoccuparti per la partita”.
Arrivò domenica, e la partita non stava andando bene. Era l’ultima di campionato, ed erano sotto di un gol. Vincere voleva dire passare alla categoria superiore. Poco prima della partita l’allenatore si era ritrovato quell’adolescente dal fisico troppo mingherlino negli spogliatoi. Non aveva detto niente, e lo aveva fatto sedere in panchina.
“Mister, per favore, fammi giocare. Oggi devo assolutamente giocare!” disse il ragazzo. L’allenatore fece finta di non sentirlo. Non ci pensava proprio a mandare in campo il suo peggior giocatore nella partita decisiva del torneo. Ma il ragazzo insisteva.
Alla fine, sentendo compassione per il ragazzo che era rimasto orfano e considerando che ormai anche il pareggio non sarebbe servito a niente, l’allenatore cedette. “Va bene” disse, “Entra!” Erano gli ultimi trenta minuti, ma l’allenatore e gli spettatori non potevano credere ai loro occhi. Quella piccola nullità, che non aveva mai giocato prima, era un fenomeno. Correva, passava, stoppava, impostava il gioco come un campione. Segnò il gol del pareggio. Fece uno straordinario passaggio decisivo per il gol della vittoria.
A fine partita, la gente sugli spalti applaudiva. I suoi compagni se lo caricarono sulle spalle. Un entusiasmo così non si era mai visto!
Finalmente, dopo che tutti avevano fatto le docce e lo spogliatoio si era svuotato, l’allenatore notò il ragazzo seduto pensieroso in un angolo della stanza. Gli si avvicinò. “Ragazzo, non ci potevo credere. Sei stato fantastico! Che cosa ti è successo? Come sei riuscito a fare quelle cose in campo?” L’adolescente guardo l’allenatore, con gli occhi pieni di lacrime. “Lei sa che mio papà è morto. Ma lo sapeva che mio papà era cieco?” Il giovane si passò frettoloso una mano sugli occhi e si obbligò a fare un sorriso. “Papà veniva a tutte le partite, ma oggi era la prima volta che poteva vedermi giocare, e io volevo mostrargli che ce la posso fare!”
ALLORA ADESSO RICORDATI CHE:
Qualcuno è fiero di te. Qualcuno ti sta pensando. Qualcuno sta sentendo la tua mancanza. Qualcuno vuole averti vicino. Qualcuno spera che tu non sia nei guai. Qualcuno ti vuole tenere per mano. Qualcuno vuole che tu sia felice. Qualcuno pensa che tu sia un dono. Qualcuno vuole abbracciarti. Qualcuno ammira la tua forza interiore. Qualcuno vuole proteggerti. Qualcuno desidera tanto vederti. Qualcuno ti ama per quello che sei. Qualcuno è felice di averti come amico/a. Qualcuno ti vuole conoscere meglio. Qualcuno vuole che tu sappia quanto ti apprezza. Qualcuno ha bisogno di te. Qualcuno ha bisogno che tu abbia fiducia in lui/lei. Qualcuno si fida di te. Qualcuno quando sente una canzone pensa a te. Qualcuno ti ama da sempre di amore infinito: «Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna» (Giovanni 3, 16).
Per la preghiera: Padre buono, Ti ringrazio perché so di vivere costantemente sotto il tuo sguardo d’amore. Donami lo Spirito Santo, che mi aiuti a essere riconoscente del dono più grande che mi hai fatto: il Tuo Figlio Gesù. Te lo chiedo nel nome di Gesù e per intercessione di Maria Santissima. Amen.
Per la vita: Fai qualcosa per “mostrare” a Dio che ce la puoi fare!
Vi accompagno con la preghiera, sempre con riconoscenza e affetto
Don Luciano
Mi sarebbe piaciuto inserirvi il sottofondo musicale che ascolto quando leggo, ma non sono ancora abbastanza brava, devo prendere altre lezioni da Maria Grazia!
Maria
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