Domenica scorsa padre Ciro ha invitato Marina a fare una testimonianza all’incontro regionale del Movimento Eucaristico Giovanile. Abbiamo trascorso veramente una bella giornata in compagnia dei ragazzi del M.E.G., è stato bello vedere tutte quelle persone così attente e curiose di conoscere l’esperienza di Marina. Ho anche incontrato padre Ciro in un altro ruolo, lo vedo sempre fare catechesi e celebrare, questa volta era con i ragazzi e mi ha confermato pure di essere un bravo organizzatore di giochi.Un altro momento bello è stato la condivisione del pranzo, abbiamo mangiato all’aperto e abbiamo potuto conoscere meglio i membri del M.E.G..
Alcuni ragazzi ci hanno raccontato anche del bel rapporto che c’era con il precedente responsabile del movimento, così ho pensato di scrivere a padre Francesco, di raccontargli della giornata e di chiedergli di parlarci della sua vita attuale:
Maria grazie della lunga e bella mail. Ti allego un articolo sulla nostra “unità di strada”, ora lavoro infatti in una istituzione che si occupa di gente senza dimora. E’ una Associazione piuttosto grande, sono più di 30 i dipendenti, quasi 300 i volontari, 5 le aree di intervento (Pronta Accoglienza, Alloggiamenti, Centro di Ascolto, Tempo Libero, Lavoro) e parecchie le strutture. Allego anche una foto, di festa, perché il lavoro di strada non è solo affrontare bisogni e sofferenza! Ma fare le mega bolle di sapone!!!
Iniziamo con questo articolo una presentazione del mondo dei “senza dimora”, attraverso alcuni resoconti delle attività della Associazione S.Marcellino di Genova. L’articolo presentato si riferisce al lavoro dell’Unità di Strada.
-Arriviamo in un momento sbagliato?-
Scherzo per stemperare la tensione tra Paola e la sua nuova vicina.
-Non arrivate mai in un momento sbagliato-
Ci sorride Paola dimenticandosi momentaneamente della rumorosa lite e della vicina che, cogliendo l’occasione, si gira dall’altra parte, contro il muro, sistemandosi a grossi colpi il cuscino sotto la testa.
Paola è seduta sul suo solito materasso avvolta da torri di borse e mura di vestiti accartocciati. E scherza, come al solito ride e prova a farci ridere nonostante si avverta in sottofondo il malumore di quella serata. Luca le offre un caffè che accetta volentieri e cominciano a parlare della pensione di invalidità che, da tre anni, le dovrebbe arrivare da un momento all’altro. Io provo a rivolgermi all’altra signora, accucciandomi al suo fianco.
Anna mi stringe la mano e sorride. Con il passare dei minuti acquista tranquillità e fiducia e comincia a raccontarmi i motivi del litigio, le vicende che l’hanno portata, dopo diversi anni che dormiva in altre strade, proprio sotto quel portico e, infine, i motivi per i quali dopo tanti anni a lavorare nella cucina di un ristorante è finita a dormire per strada. Si commuove parlando del figlio e si inacidisce quando accenna ai fratelli.
Con il passare del tempo si faceva forte in me un’immagine bizzarra. San Marcellino ha dormitori di prima e seconda accoglienza e gradini successivi; è specializzato in lunghi percorsi di “risocializzazione”: e noi? Noi siamo il… “dormitorio di livello zero”! Il tetto, suo malgrado, lo mette a disposizione il comune grazie ai portici, ai pronti soccorsi e alle stazioni di Genova. C’è sempre più gente per strada che non trova posto in un dormitorio e c’è sempre più gente delusa dai dormitori che questo posto non lo cerca neanche. Ecco che il Pulmino trova una sua dimensione estremamente legata a bisogni reali.
Qualche sera fa eravamo seduti, io, Luca e un senza dimora, al tavolino del bar chiuso della stazione di Nervi. Chiacchieravamo del più e del meno con tre bicchieri grandi di caffè. Ad un certo punto si avvicinano due volontari nuovi di Sant’Egidio che, scambiando i nostri caffè per vino e notando probabilmente un clima particolarmente piacevole, offrono panini, merendine e cioccolatini a tutti e tre. Approfittando della ovvia fretta dei volontari (consegnare panini in tutta la città è un compito ugualmente difficile, ma che si differenzia molto dal nostro) abbiamo scherzato per qualche minuto rifiutando cortesemente, ma non svelando la nostra identità. Risalendo sul pulmino riflettevo sul nostro comportamento. Il gioco è stato particolarmente divertente perché probabilmente ha fatto un po’ il verso a quel rapporto tra pari verso il quale, soprattutto fuori dalle strutture, tendiamo. Pur senza mai, per ovvie ragioni di ruoli, raggiungerlo, la sola tendenza rende possibili rapporti più umani. L’apprendimento reciproco trova minori limitazioni e questa vicinanza, in un gioco di identificazione proiettiva, fa prendere qualcosa a loro di nostro e qualcosa a noi di loro.
Padre Francesco è rimasto nel cuore di diverse persone della nostra parrocchia per le sue belle omelie e per la sua simpatia.
Grazie padre Francesco, speriamo di rivederti un giorno!
Maria
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