Caro donGi,
in questi giorni ci parli di pane spezzato e anche del dolore e della sofferenza che si accompagna al gesto di condivisione che rappresenta. Per questo ce lo hai messo lì, sull’altare…
La prima cosa a cui ho pensato mentre spiegavi la metafora ai bambini ieri è stato l’insegnamento di mia nonna, che considerava un gesto sacrilego infilzare un coltello in una pagnotta. Ed io me ne sono ricordata perché se veramente quel pane siamo noi – piccoli chicchi raccolti per il mondo, rimacinati, impastati e cotti dall’amore di Cristo – certe volte sembriamo più un pane ferito e mutilato che spezzato e condiviso.
C’è tanto da ricostruire in un momento storico in cui il concetto di comunità – non solo cristiana – viene intaccato alle radici. E’ l’egoismo dei singoli che incide come una lama tagliente il tessuto comunitario, recidendone i legami.
Ognuno chiuso nel proprio interesse e nel proprio recinto, a riempire i forzieri di falsi idoli e illusorie sicurezze mentre ciò che ci divora e spaventa è dentro di noi più che fuori di noi. Ma accusare l’altro è più comodo, così come lo è concedergli le briciole di ciò che ci avanza, lamentandoci poi che non ci è abbastanza riconoscente della carità ricevuta.
Non è questo che facciamo, quando approfittiamo dei migranti per accrescere la nostra ricchezza, per poi ricacciarli nella loro povertà quando non ci servono più? E loro lo sanno più di tutti “quanto sa di sale lo pane altrui” mentre noi non vogliamo ricordarcelo più.
C’è molto da fare. Occorre deporre le vesti e cingersi la vita con l’asciugatoio. Non si può che ricominciare da qui.
Grazie, come sempre, per le tue parole e i tuoi gesti d’amore ( ma anche di rimprovero 🙂 ) verso noi tutti che così ci sentiamo meno soli e più solidali.
Maria Grazia
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