Natale è la gioia di un incontro con la povertà e la semplicità più disarmante.
Nel mese di ottobre abbiamo avuto la sorpresa di un gruppo di quattordici persone, che si è fermato all’improvviso sul greto del fiume Drin, nei pressi di Beltojë, a sette chilometri da Scutari. L’han fatto diventare la loro nuova “casa”: dieci bambini e due coppie di genitori. Il parroco, nostro amico e frate minore, P. Angelo, si è subito preoccupato di diffondere la voce e cercare un po’ di aiuti per queste giovani famiglie. Arrivavano da lontano, avevano al seguito meno di niente, forse volevano iniziare una fase nuova della loro esistenza. Il guaio è che hanno deciso di cominciarla proprio al principio della stagione invernale. Lungo la riva del fiume tutti sanno che per le piogge autunnali il livello dell’acqua sale e si sta come dei pesci sott’acqua. Ma i rom nostri amici certamente non si spaventano di quest’eventualità. Poiché sanno che, alla prima piena, un uomo di buon cuore là vicino offrirà loro ospitalità nella sua stalla, insieme con gli animali, pecore o mucche che siano.
I rom, che popolo differente da noi! Non sai neppure come devi chiamarli, perché hanno mille nomi e nessuno, mille culture e si ritrovano a parlare una lingua che loro soltanto capiscono. Che difficoltà grandi si vivono al semplice tentativo di entrare nella loro mentalità. Certamente nessun uomo sensato proverebbe a collocarli fra quattro mura. Gente che non ha mai perso il gusto della vita libera, semplice, essenziale. L’aria aperta come ambiente di crescita e di sedimentazione di ogni avventura, lieta o triste che sia.
In questa circostanza abbiamo provato tra noi consacrati a fare un solo corpo per l’immediato soccorso. Siamo rimasti in contatto per procurare i beni di immediata necessità: alimenti, scarpette per i bambini, alcune pentole per cucinare, vestiti adatti per i piccoli amici, disinfettante e ovatta per curare alcune ferite. Mi sembrava una cosa impossibile che nel 2016 dovessi attivarmi per dei bisogni così vitali, segno che qualcosa – a distanza di pochi chilometri dall’Italia – non sta funzionando.
Quando incontro un bambino rom, non so come debbo chiamarlo. Se mi dicono i nomi propri di persona, dopo pochissimo tempo li ho già dimenticati, perché sono tanti, diversi dai nostri, spesso nomi mai sentiti prima. E purtroppo per deformazione professionale son portato subito a chiedermi: ma ci sarà un corrispondente in italiano? È un nome tipicamente musulmano o c’è anche nella schiera dei nostri santi? A volte dimentico che i piccoli sono innocenti e puri come angeli.
Se tutti gli albanesi di buona volontà provassero a dare una mano di aiuto a questi fratelli, certamente la loro condizione migliorerebbe di tanto. Ad un rom nessuno offre lavoro, proprio perché non ha la cultura dell’igiene personale. Ha un colore scuro di pelle e mostra tante altre differenze rispetto a coloro che si considerano persone “normali”. Dove sia la normalità e dove invece la straordinarietà, questo è tutto da capire e verificare. Un problema che anche umanamente, ontologicamente resta apertissimo, un mistero che non si può facilmente chiarire. Per chi si è imbattuto in Gesù di Nazareth, risulta quasi scontato riconoscere che egli ha preferito le strade dei diversi e delle persone ricche di problemi, “i più senza” di tutti: senza dignità, senza istruzione, senza grazia, senza denaro, senza salute, senza più vita.
A Natale mi vorrei concentrare di più su quelli che mi sono vicini, avendo la fortuna di vivere a Scutari in un quartiere abitato da zingari. E come se non bastassero i tanti che circondano casa nostra, il Signore ce ne ha mandato degli altri verso la riva del fiume Drin. Forse sbaglio, ma mi sembrano ancora più semplici e poveri di quelli che vivono in città. Mi regalano moltissimi sorrisi, mi stringono tutte e due le mani, si aggrappano al saio, baciano la croce che sta sul rosario. Sanno suscitare una simpatia che non può finire in un attimo, ma ti fa pensare quasi costantemente: staranno mangiando oggi qualcosa di caldo? Avranno potuto medicare la ferita sulla gamba di quella bambina? Lei com’è che si chiama? E quando poi uno muore, dove lo seppelliscono?
I bambini rom mi guardano con i loro occhi stupendi, grandi, di tutti i colori che potrei qui elencare, e non si lamentano affatto dei loro piedi scalzi. Sono felici anche soltanto per la visita che sto facendo. I genitori, meglio di loro, sanno spiegare che qualche piatto o bicchiere di plastica rigida servirebbe per mangiare un pochino meglio la semplice roba che riescono a cucinare. Come pure dei metri quadrati di plastica che, inchiodata su piccoli giunti di legno, potrebbe proteggere meglio le baracche dalla pioggia.
Quando incontro un bambino rom, adesso mi sembra di incontrare Gesù.
Pier Giorgio Taneburgo
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