Sabato 7 maggio, i ragazzi del secondo anno d’iniziazione cristiana (IV elementare) hanno celebrato il Sacramento della Riconciliazione.
Il “grande evento” ha avuto inizio presso l’Istituto delle suore francescane di Via Amendola.
Lì i ragazzi hanno partecipato e vissuto una mattinata di ritiro: un’occasione di riflessione e approfondimento sul sacramento, attraverso la parabola del Padre Misericordioso.
I piccoli cristiani ancora una volta sono stati capaci di non farmi dormire la notte.
Sentivo le loro voci, i loro perché, le loro ansie.
Sin dalle prime ore del mattino, prima dell’incontro, credevo che la nostra buona volontà e un massiccio supporto dal cielo, sarebbero bastati a realizzare in modo efficace le attività volte ad approfondire il significato del sacramento.
Ero certo che per raggiungere il cuore dei ragazzi e per lasciarvi dentro un seme bastasse porre in atto una metodologia, trovare assieme al gruppo dei catechisti il modo migliore per interessare i ragazzi all’ascolto della Parola: questo è il “saper fare” del catechista. Il “saper fare”, è sempre stato il fine primario e lo strumento migliore per realizzare i nostri incontri, rendendoli più interessanti, più coinvolgenti dal punto di vista emotivo e quindi di facile apprendimento per i ragazzi. Pianificare con scrupolo ogni incontro, definirne finalità e obiettivi, capire quali strumenti debbano essere utilizzati (es. audiovisivi, gioco, lettura), per far si che ciò che si desidera trasmettere sia ricordato, e col tempo cresca dentro di loro…tutto questo per la “Festa del Perdono” è stato fatto!
Cosa più sbagliata non potevo pensare.
La buona volontà è di sicuro la base su cui poggiare il nostro impegno; l’aiuto dal cielo è l’invocazione che faccio prima di incontrare i ragazzi ma sabato ho imparato che conoscere, sapere, programmare non è sufficiente per presentare nel modo più adeguato la figura di Gesù.
Sabato pomeriggio, quando vedevo i nostri ragazzi timorosi, preoccupati, alcuni tremanti recarsi dai sacerdoti per la Prima Confessione e dopo pochi minuti discendere sorridenti dall’altare, con la luce negli occhi e il viso trasformato abbracciare noi catechisti, i genitori, i nonni… ho avuto la certezza che nulla di tutto quello che accadeva era opera nostra.
Noi, inadeguati al compito cui Dio ci ha chiamati, siamo costantemente “sotto tutela”.
E’ Lui ad agire attraverso la nostra opera.
Noi catechisti, oggi, siamo chiamati al compito di portare Gesù a bambini che crescono in un contesto scristianizzato e spesso in assenza della famiglia.
L’enormità dell’impresa spaventa, il ruolo del catechista è grandissimo: una missione apparentemente impossibile.
Ma, com’è sempre stato nella storia della salvezza, basta avere fiducia e abbandonarsi alla divina provvidenza.
Scrive Luca: “Non datevi pensiero per la vostra vita, di quello che mangerete; né per il vostro corpo, come lo vestirete. La vita vale più del cibo e il corpo più del vestito. Guardate i corvi: non seminano e non mietono, non hanno ripostiglio né granaio, e Dio li nutre. Quanto più degli uccelli voi valete! Chi di voi, per quanto si affanni, può aggiungere un’ora sola alla sua vita? … Non cercate perciò che cosa mangerete e berrete, e non state con l’animo in ansia: di tutte queste cose si preoccupa la gente del mondo; ma il Padre vostro sa che ne avete bisogno. Cercate piuttosto il regno di Dio, e queste cose vi saranno date in aggiunta”.
Tonino D.
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